Il nuovo “Giardino fertile” di Parigi è il primo a zero emissioni di carbonio grazie all’utilizzo della roccia calcarea. Un piccolo quartiere dal quale sta per nascere una rivoluzione edilizia mondiale.

Nel 2016 era soltanto un vasto terreno industriale di 1,3 ettari abbandonato a se stesso, con un nome che però lasciava presagire un futuro decisamente più roseo: Îlot Fertile, ovvero “Giardino fertile”, una promessa che oggi pare mantenuta.

Grazie al concorsoRéinventer Paris” infatti oggi quell’appezzamento di terra, situato nel quartiere Rosa Parks del 19° arrondissement di Parigi, è il primo a zero emissioni di carbonio della capitale francese.

Al momento il progetto, ideato dallo studio di architettura francese TVK, ospita una serie di unità abitative per studenti e giovani professionisti, un ostello della gioventù da 228 posti letto e poi uffici, ristoranti, negozi, impianti sportivi, un incubatore di start-up con uno spazio di coworking e presto una base logistica per la distribuzione di pacchi da consegnare nel quartiere con biciclette elettriche; e poi un hotel da 129 camere, segno che la volontà è quella di renderlo immediatamente funzionale e completo, anche in relazione al turismo della capitale.

Chiaramente largo spazio al verde con ben 3.800 m² di area adibita non solo a parco ma anche a frutteti e orti a disposizione degli abitanti. Un’oasi nel bel mezzo del caos della metropoli che brilla grazie alle menti degli architetti TVK che hanno scelto di utilizzare la pietra calcarea per le facciate degli edifici, 10.000 m2 di pietra locale tagliata o di calcestruzzo a basso contenuto di carbonio, che consente di ridurre sensibilmente le emissioni ma non solo, lo scopo ultimo del progetto infatti non è solo limitare il fabbisogno energetico ma anche rendersi autosufficienti.

Quello della pietra calcarea per combattere i devastanti effetti delle emissioni di carbonio è un metodo già studiato nel 2016 da Karen Scrivener, professoressa al Politecnico federale di Losanna, che ha inventato l’LC3, un cemento a base di calcare e argilla calcinata; mentre nel 2021 la pietra calcarea venne utilizzata alle Canarie per ripulire i corsi d’acqua da Ulf Riebesell, biologo marino presso il GEOMAR Helmholtz Center for Ocean Research di Kiel, in Germania, grazie ad un progetto finanziato dall’Unione Europea.

Oltreoceano l’amministrazione Biden ha addirittura promesso un grosso investimento, oltre tre miliardi e mezzo di dollari, nel DAC (Direct Air Capture) un impianto situato a Tracy, in California, che studia il modo di utilizzare il calcare per estrarre l’anidride carbonica direttamente dall’aria, immagazzinandola in profondità all’interno di strutture in cemento.

Ad oggi sono stati commissionati 27 impianti DAC in tutto il mondo, catturando quasi 0,01 Mt di CO 2 /anno. I piani per almeno 130 strutture DAC sono ora in varie fasi di sviluppo. Se tutti dovessero avanzare l’implementazione delle DAC raggiungerebbe il livello richiesto nel 2030 nell’ambito dello scenario Net Zero Emissions by 2050 (NZE), ovvero circa 75 MtCO 2 /anno.