Come gli investitori possono guidare la transizione verso un futuro sostenibile, con Gianluca Gucciardi
L’impegno per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 e altri ambiziosi obiettivi ambientali globali, come il Green Deal europeo, ci mettono di fronte a grandi cambiamenti economici e all’urgente necessità di innovazione tecnologica.
A livello europeo, l’obiettivo “zero netto” per il 2050 richiede un aumento degli investimenti nel settore energetico pari a 350 miliardi di euro all’anno nel periodo 2021-2030 rispetto al decennio precedente. L’entità del fabbisogno di investimenti richiede dunque anche una massiccia mobilitazione di capitali privati.
In particolare c’è uno stretto legame tra il finanziamento azionario e l’innovazione verde delle imprese nell’attrarre finanziamenti di Venture Capital.
La sfida è notevole ma anche piena di opportunità per plasmare un futuro più sostenibile, abbiamo chiesto una panoramica sugli studi in corso a Gianluca Gucciardi del Dipartimento di economia, metodi quantitativi e strategie d’impresa DEMS e ricercatore del progetto MUSA.
Dottor Gucciardi, gli investimenti del Venture Capital possono influenzare l’ambiente?
Diversi studi scientifici hanno evidenziato una crescente consapevolezza da parte dei fondi di Venture Capital (VC) nei confronti delle startup orientate alla sostenibilità o che mirano a sviluppare soluzioni per le sfide ambientali, sociali e di governance (ESG). In particolare, il contributo principale dei VC all’ecosistema dell’innovazione ‘green’ è associato al supporto finanziario e manageriale offerto alle startup impegnate nello sviluppo e commercializzazione di tecnologie ‘sostenibili’, cioè eco-compatibili o eco-efficienti, soprattutto durante le fasi iniziali di sviluppo in cui gli imprenditori dispongono di limitate risorse finanziarie proprie ed esterne.
È importante riconoscere, al contempo, che gli investitori in Venture Capital hanno principalmente l’obiettivo di favorire una crescita esponenziale delle startup finanziate, al fine di aumentarne il valore e ottenere, infine, un ritorno sull’investimento tramite una ‘exit’ come una quotazione in borsa, una fusione o un’acquisizione della startup stessa. Non è dunque scontato che il conseguimento di questo obiettivo economico e finanziario sia sempre compatibile con gli obiettivi ESG, soprattutto considerando le tempistiche che governano i cicli di investimento dei VC e lo sviluppo e l’adozione di tecnologie green, spesso complesse da realizzare.
Si tratta dunque di un argomento aperto e di grande rilevanza sia per la comunità scientifica che per i decisori politici, sul quale molti studiosi nell’ambito della finanza sostenibile stanno attualmente concentrando le proprie ricerche. In un recente studio, ad esempio, abbiamo evidenziato come gli investimenti nel venture capital siano correlati a una riduzione dell’intensità dell’impatto ambientale, approssimata tramite un indice di efficienza energetica definito come il rapporto tra le emissioni di CO2 e il PIL a livello nazionale.
Tuttavia, pur emergendo da un’analisi su scala globale, abbiamo notato che tale fenomeno è principalmente concentrato in specifiche aree del pianeta, soprattutto tra le economie emergenti e nei paesi dove la sensibilità ambientale e l’adozione di tecnologie verdi sono ancora in fase di sviluppo e non del tutto consolidate. Questi risultati sosterrebbero l’ipotesi di un ruolo dei fondi di venture capital nel trasferimento di tecnologie sostenibili tra paesi, ma resta ancora molto da studiare e analizzare prima di poter giungere a una conclusione definitiva.
Ci sono settori specifici o tipi di tecnologie verdi che sembrano essere particolarmente attraenti per gli investitori?
In generale, gli investitori nel Venture Capital sono attratti dalle startup operanti nei settori ‘high-tech’ o che sviluppano tecnologie o innovazioni dirompenti anche in settori più tradizionali, poiché promettono ottimi ritorni sugli investimenti. Tuttavia, l’alta necessità di capitale per lo sviluppo delle tecnologie ‘green’ e il fatto che gli investimenti green impieghino più tempo per raggiungere la fase di maturità possono costituire un vincolo per il modello di business più tradizionale dei VC, incentrato su ritorni elevati e relativamente rapidi.
In questo contesto, alcuni studi hanno evidenziato un aumento degli investimenti verso settori definibili come ‘green’, tra i quali i servizi ambientali, la produzione di energia rinnovabile e i nuovi materiali sostenibili. Un nostro studio del 2023, condotto in collaborazione con ricercatori di altri atenei nazionali e internazionali e con il Joint Research Centre della Commissione Europea, ha evidenziato che gli investitori VC sembrano concentrarsi sulle caratteristiche ‘green’ delle tecnologie sviluppate, indipendentemente dal settore industriale di appartenenza. Le startup che possiedono brevetti green, ovvero quelli che riguardano tecnologie per mitigare gli effetti del cambiamento climatico, hanno maggiori probabilità di ricevere finanziamenti VC rispetto a quelle senza brevetti o con altri tipi di brevetti. Inoltre, una maggiore proporzione di brevetti green nel portafoglio delle startup aumenta le possibilità di ricevere investimenti in Venture Capital.
Questi risultati suggeriscono che l’innovazione verde sia un’opportunità di investimento apprezzata e preferita dai VC rispetto ad altre tecnologie ‘non-green’ brevettate. Questo ha implicazioni rilevanti in un contesto in cui l’innovazione tecnologica è essenziale per raggiungere gli obiettivi climatici e ambientali stabiliti a livello nazionale e internazionale che richiedono sforzi finanziari senza precedenti.
In questo contesto, qual è il ruolo che gli investitori e finanziatori privati possono svolgere per il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità?
Diversi studi hanno evidenziato che, nonostante gli sforzi recenti, i finanziamenti pubblici risultano ancora insufficienti per coprire la vasta quantità di investimenti necessari per una piena transizione ecologica. In risposta a questa sfida, istituzioni come la Commissione Europea hanno realizzato politiche volte a promuovere la finanza sostenibile all’interno di un quadro regolamentare strutturato, che consenta agli investitori privati di svolgere il proprio ruolo cruciale nell’avviare e scalare le soluzioni tecnologiche e industriali necessarie in ottica sostenibilità.
Tuttavia, molte di queste soluzioni richiedono investimenti a lungo termine e sono poco adatte al tradizionale modello di business dei VC. Un esempio significativo sono le startup ‘deep-tech’, che intraprendono cicli di ricerca e sviluppo prolungati. Pertanto, diventa essenziale una collaborazione efficace tra misure di sostegno pubblico, come i sussidi, e il finanziamento privato. Molti paesi stanno adottando misure di sostegno, come crediti d’imposta, fondi e sovvenzioni, per incentivare gli investimenti nelle tecnologie verdi. In Italia e in Europa, ad esempio, sono stati stanziati ingenti fondi, soprattutto attraverso programmi come NextGen EU e RePower EU, che hanno un’attenzione particolare alla sostenibilità.
Più in generale, una politica ambientale favorevole può ridurre l’incertezza e il rischio associati agli investimenti nelle imprese sostenibili, specialmente attraverso politiche a lungo termine che favoriscono la creazione di mercati per le tecnologie ambientali. L’analisi degli effetti di tali strumenti e politiche sulla sostenibilità rappresenta sicuramente una delle sfide più importanti per gli studiosi di finanza ed economia pubblica.
In che modo i risultati delle ricerche possono contribuire a guidare le decisioni strategiche delle politiche ambientali e delle istituzioni finanziarie nel promuovere uno sviluppo più sostenibile?
La ricerca svolge un ruolo fondamentale nell’analizzare e prevedere gli effetti delle politiche ambientali su molteplici piani, tra cui l’ecologia e la biologia, con l’economia e la finanza che rivestono un ruolo chiave in questo contesto.
Ad esempio, nel quadro del progetto PNRR MUSA (Multilayered Urban Sustainability Action), nato dalla collaborazione tra l’Università degli Studi di Milano-Bicocca, altre università partner milanesi e diversi stakeholder, il team di finanza sostenibile di cui faccio parte sta attualmente conducendo progetti di ricerca applicata con implicazioni dirette per il tessuto produttivo locale e internazionale.
Uno dei nostri primi studi si concentra sull’analisi degli indicatori quantitativi più rilevanti e diffusi tra le diverse agenzie di rating, al fine di determinare se un’impresa possa essere considerata sostenibile secondo diverse classificazioni. Quest’idea ha rilevanza pratica oltre che teorica, poiché identificare un insieme limitato di indicatori che possano rappresentare efficacemente le performance ESG di un’azienda per diverse agenzie di rating potrebbe aiutare le imprese, soprattutto le PMI, a orientarsi in modo più efficace nel contesto dei rating di sostenibilità. Inoltre, le istituzioni finanziarie potrebbero beneficiare di uno strumento utile a interpretare in modo più consapevole le differenze tra i rating ESG delle diverse agenzie.
Un altro filone di ricerca è incentrato sul costo finanziario che le imprese devono sostenere per accedere a finanziamenti a sostegno di investimenti con fini di sostenibilità.
L’obiettivo è comprendere se le imprese più sostenibili effettivamente beneficiano di costi di finanziamento inferiori nei vari contesti istituzionali, poiché le banche riconoscono in queste imprese un minor livello di rischio. Anche in questo caso, intendiamo sviluppare strumenti utili alle PMI per orientarsi nel contesto della finanza sostenibile e nel dialogo con le istituzioni finanziarie. Per ulteriori informazioni, rimando a una mia recente video-intervista e alle attività dello Spoke 4 del progetto MUSA focalizzato proprio sulla Finanza Sostenibile.
Infine, invito i colleghi e le colleghe interessati al tema della sostenibilità, anche in settori diversi dall’economia o dalla finanza, a contattarmi se desiderano condividere o sviluppare insieme nuove linee di ricerca, anche in fase preliminare. L’unione – e l’interdisciplinarietà – fanno la forza!
L’articolo è stato originariamente pubblicato sul sito BNews di Unimib