Dai living lab al capability approach: l’evoluzione dell’innovazione sociale in MUSA.
L’appuntamento con MUSA – I percorsi dell’innovazione sostenibile del 3 e 4 dicembre si avvicina e il programma della prima giornata entrerà nel vivo con tre sessioni parallele dedicate ai grandi assi di lavoro dell’ecosistema. Oggi approfondiamo uno di questi tre temi: l’innovazione sociale, al centro della sessione coordinata dalla professoressa Luisa Zecca, Professoressa ordinaria del Dipartimento di Scienze Umane dell’Università di Milano-Bicocca.
In vista dell’evento, la docente ci accompagna dentro i modelli nati in MUSA che hanno generato maggior impatto nei territori, spiegando come si comunica il valore dell’innovazione sociale a nuovi investitori, quale ruolo abbiano avuto le collaborazioni tra università, istituzioni e comunità, e quali priorità emergono per il prossimo ciclo di sviluppo.
Quali modelli di innovazione sociale nati in MUSA hanno mostrato il maggiore impatto sulle comunità locali?
I modelli emersi integrano principi consolidati dell’innovazione sociale: sono contestualizzati (place-based), collaborativi (multi-stakeholder), abilitanti (capability-oriented) e sperimentali (living lab). Questo mix ha generato valore pubblico nei territori più vulnerabili e ha posto le basi per infrastrutture sociali più stabili. Hanno prodotto fin da subito effetti tangibili sul breve periodo, accanto allo sviluppo di linee guida, metodologie e nuovi dataset con un impatto prospettico più strutturale. La loro efficacia deriva dall’adozione di approcci riconosciuti come particolarmente idonei ai contesti urbani complessi: coproduzione, innovazione place-based, ecosistemi collaborativi e living lab sociotecnici. I living lab territoriali hanno rappresentato uno degli elementi più significativi: spazi pubblici, istituzionali o comunitari vengono trasformati in laboratori permanenti capaci di integrare sperimentazione, partecipazione civica e produzione congiunta di conoscenza. In questo quadro, la combinazione tra raccolta di dati sul campo, attività formative e iniziative di coinvolgimento comunitario ha generato forme di knowledge co-production tra università, servizi locali, scuole e famiglie, dando vita a ecosistemi di apprendimento distribuito coerenti con quella che si definisce place-based social innovation. Parallelamente, l’adozione di modelli di data-driven social innovation ha consentito di analizzare fenomeni sociali complessi — come disuguaglianze, vulnerabilità o bisogni educativi — su più livelli (macro, meso, micro), integrando basi dati, reti territoriali e processi di coprogettazione. Questo approccio riflette la logica della joined-up governance, in cui attori istituzionali, scientifici e comunitari collaborano per affrontare problemi sociali non risolvibili da singoli soggetti. Una terza traiettoria riguarda le innovazioni orientate al capability approach, che valorizzano la capacità delle persone e delle comunità di accedere a risorse, sviluppare competenze e ampliare il proprio margine di autonomia. In questo senso, i modelli sviluppati non si limitano a fornire servizi, ma cercano di consolidare capacità individuali e collettive, allineandosi al concetto di capability expansion su equità e coesione sociale. Infine, i modelli partecipativi rivolti ai giovani hanno fatto uso di metodologie di youth participatory action research (YPAR), riconosciute per il loro impatto in termini di engagement, agency e promozione del senso civico. Attraverso attività di narrazione, orientamento e co-progettazione, tali percorsi hanno contribuito a rafforzare il protagonismo giovanile nei processi di trasformazione sociale e urbana.
In una fase in cui MUSA vuole aprirsi a nuovi investitori, come si può comunicare il valore concreto dell’innovazione sociale, spesso meno immediatamente misurabile?
L’innovazione sociale è un campo ampio ed eterogeneo, privo di una definizione univoca e caratterizzato da una marcata multidisciplinarità. Nasce dall’incrocio tra sociologia, politiche pubbliche, management, pedagogia, psicologia di comunità, studi urbani, imprenditorialità sociale e altre discipline, ciascuna con propri metodi e priorità. La sfida è quindi costruire approcci transdisciplinari capaci di integrare ricerca di base e ricerca trasformativa, attivazione individuale, collaborazione interprofessionale e relazioni tra organizzazioni. Gli impatti prodotti su coesione, sviluppo di capacità, empowerment, capitale sociale, benessere comunitario, cambiamenti istituzionali, sono qualitativi, multidimensionali e spesso sistemici. Questi effetti sono diffusi, non si concentrano su un solo attore e richiedono approcci longitudinali e metodi qualitativi o misti. La misurazione non può essere ridotta a un set universale di indicatori, poiché non esiste un paradigma dominante. Per questo, la comunicazione dell’impatto deve combinare storytelling, evidence-based communication e public engagement. Da un lato, occorre rendere visibile il valore sociale, scientifico e territoriale attraverso narrazioni accessibili; dall’altro, è essenziale sostenere queste narrazioni con evidenze: dati, survey, osservatori, valutazioni pre-post, basi dati strutturate. La strategia comunicativa più efficace è multimodale: integra podcast, video, prodotti audiovisivi, mostre, eventi pubblici e forme partecipative di co-narrazione, in cui la comunità contribuisce attivamente al racconto dell’impatto. Combinando linguaggi diversi, dati, esperienze, immagini, storie, pratiche partecipative, si può comunicare non solo che cosa fa MUSA, ma il valore pubblico che genera per la società e per i territori.
Qual è stato il ruolo della collaborazione tra università, istituzioni e territorio nella generazione di nuovi servizi o soluzioni sociali?
La collaborazione tra università, istituzioni e territorio è stata la condizione abilitante che ha permesso la nascita di nuovi servizi e soluzioni sociali. Ogni innovazione è emersa da processi di co-progettazione multi-attore che hanno coinvolto enti accademici, amministrazioni pubbliche, reti di servizi, organizzazioni del terzo settore, scuole, imprese e comunità locali. Questa cooperazione ha consentito di tradurre la ricerca in interventi concreti, radicati nei territori e responsivi ai bisogni reali dei contesti urbani complessi. La sinergia tra livelli istituzionali, professionali e comunitari ha permesso di affrontare temi come vulnerabilità, giustizia sociale, inclusione, orientamento educativo, salute e sostenibilità ambientale secondo un approccio concretamente intersettoriale. La collaborazione ha svolto tre funzioni fondamentali: tradurre la conoscenza scientifica in servizi e soluzioni operative, radicare gli interventi nei territori attraverso relazioni stabili, costruire le condizioni per garantire sostenibilità e possibilità di continuità oltre la durata dei progetti. In MUSA, dunque, la cooperazione non rappresenta una strategia metodologica tra le altre, ma l’infrastruttura generativa da cui dipende la possibilità stessa di creare impatto sociale duraturo.
Quali priorità vede per il prossimo ciclo di sviluppo di MUSA in ambito sociale e educativo?
Le priorità sono strettamente connesse all’analisi che da ora in avanti sapremo produrre sulle criticità incontrate. Le criticità di MUSA per l’innovazione sociale sono tipiche dei grandi ecosistemi di innovazione multi-attore, in contesti complessi e ad alta densità sia sociale, che istituzionale. Si tratta di tensioni strutturali che emergono quando università, istituzioni, imprese e territorio fanno innovazione congiuntamente. Punti d’attenzione sono la capacità amministrativa e procedurale del sistema. Il processo di generatività dei legami tra attori richiede infatti tempi lunghi, una fase di conoscenza delle risorse e dei vincoli di ciascun ente e di condivisione di linguaggi prima di poter passare alla costruzione di obiettivi specifici comuni “gestibili”, quindi, in seconda battuta, un forte lavoro di coordinamento. L’ “interdipendenza operativa” tra nodi del sistema comporta infatti costi di coordinamento elevati e una più lenta capacità di intervento, mentre la ricerca procede. La complessità della governance interistituzionale ha importanti ricadute sulla capacità di allineamento che aumenta man mano che aumentano attori, scopi, e interdipendenze. Il passaggio dal “prototipo”, o dallo studio pilota, al cambiamento sistemico richiede la capacità di modificare valori, norme, standard, procedure e condizioni organizzative di tutti gli attori coinvolti. Per tornare ora alla sua domanda, le priorità future implicano una riflessione su strategie di consolidamento dei modelli, dei protocolli e degli strumenti per consentire alle soluzioni, dai labs ai modelli sociali, di essere sperimentate in contesti analoghi, adattate e istituzionalizzate. Questo processo corrisponde alla fase di embedding dell’innovazione sociale, in cui le soluzioni devono essere incorporate nelle routine istituzionali. In sostanza ci troviamo nella fase in cui dovremo, innanzitutto, rafforzare e potenziare la capacità di co-governance e idearne forse di nuove.
In vista delle premiazioni del 4 dicembre, che significato hanno per studenti e ricercatori opportunità come i poster awards?
La partecipazione a poster session, conferenze, workshop e mostre è una modalità tipica per la condivisione di conoscenza, la visibilità delle ricerche, la legittimazione professionale, il confronto e il networking e può avere anche una valenza formativa. La possibilità di essere premiati per questi contributi può dare ai partecipanti il segnale che la comunità scientifica riconosca la qualità e la rilevanza delle loro ricerche rappresentate con un certo specifico tipo di comunicazione scientifica, ma credo che il valore principale sia la diffusione di conoscenza nell’incontro anche diretto tra gruppi di ricerca e attori che hanno preso parte alla realizzazione degli interventi e alle ricerche-intervento. Per il resto, ci sono studi interessanti che mettono in evidenza i limiti della premialità come gli aesthetic bias o i bias valutativi, e molto dipenderà dal processo di costruzione dei criteri e degli indicatori, oltre al tipo di revisione, coerente con gli obiettivi, le metodologie progettuali e soprattutto con lo scopo generale del progetto, quello di generare trasformazioni sociali con scopi migliorativi, in linea con Agenda 2030, dove ricerca, intervento, modelli di policies siano presenti e il più possibile integrati e integrabili.