Moda: la minaccia del ‘fast fashion’ alla sostenibilità, la politica scende in campo 

Ue chiede misure più severe contro il consumo eccessivo di prodotti tessili 

Il matrimonio moda-sostenibilità è sempre più minacciato dal ‘fast fashion’, la pratica sempre più diffusa di acquistare capi di abbigliamento mordi e fuggi. Si usano per un tempo breve e poi finiscono per diventare materiale di scarto. Il dibattito sulla necessità di fermare la ‘moda veloce’ è acceso.

Per questo l’Unione Europea, come riporta Ansa Europa*, ha adottato misure più severe per combattere la produzione e il consumo eccessivo di prodotti tessili, che dovrebbero durare più a lungo ed essere più facili da riutilizzare, riparare e riciclare. Insomma, essere prodotti in modo circolare, sostenibile e socialmente equo.  

Lo hanno chiesto gli eurodeputati adottando, con 600 voti a favore, 17 contrari e 16 astensioni, le raccomandazioni per la strategia Ue per i prodotti tessili sostenibili e circolari. Insomma, uno stop chiaro e messo nero su bianco alla ‘fast fashion’, con una esortazione chiara alla Commissione a lanciare l’iniziativa per prevenire e ridurre al minimo il rilascio di microplastiche e microfibre nell’ambiente, “senza ulteriori ritardi”.

Non solo: servono regole chiare per fermare il greenwashing da parte dei produttori, ad esempio attraverso il lavoro legislativo in corso, relativo alla responsabilizzazione dei consumatori nella transizione verde e alla regolamentazione delle dichiarazioni verdi.  

Prezzi bassi ma i costi per l’ambiente sono enormi

La Commissione europea ha presentato una strategia di contrasto al fast fashion nell’ambito del piano d’azione per l’economia circolare, prevedendo nuovi requisiti di progettazione e obblighi di trasparenza per le aziende del comparto. La direttiva sul rifiuti 2018/851, inoltre, ha previsto l’introduzione dell’obbligo di provvedere alla raccolta differenziata dei prodotti tessili entro il 2025. Questo perché negli ultimi anni la pratica del ‘fast fashion’ ha preso sempre più piede. Prezzi bassi con enormi costi per l’ambiente.  

L’industria tessile è infatti particolarmente impattante sul versante delle risorse idriche. Non è facile quantificare con esattezza il fabbisogno dell’industria tessile ma si stima che per la produzione di una sola t-shirt in cotone servano circa 2.700 litri d’acqua, pari a quanto una persona dovrebbe bere nell’arco di 2,5 anni.

In media, nell’ultimo biennio, il settore tessile ha impiegato 400 metri quadri di terreno, 9 metri cubi d’acqua e 391 chili di materie prime per ciascun cittadino dell’Ue. Anche sul versante dell’inquinamento idrico l’impatto del tessile è risultato particolarmente incisivo: si stima, infatti, che sia responsabile del 20% dell’inquinamento di acqua potabile nel mondo e del rilascio del 35% delle microplastiche presenti.  

Stesso discorso per le emissioni di gas serra: si stima che l’industria dell’abbigliamento pesi per il 10% sul totale delle emissioni globali di carbonio: solo nell’Ue, per ciascun cittadino nell’ultimo biennio sarebbero stati generati 270 chili di CO2. Non manca all’appello il capitolo rifiuti, con un impatto ancora più evidente: si stima che, nell’Ue, ciascuno di noi consumi 26 chili di prodotti l’anno e ne smaltisca 11 chili, per lo più smaltiti in discarica o inceneriti. 

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